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Come è nata la foto che ha vinto il World Press Photo

Un gruppo di migranti africani sulle spiagge della Citta di Gibuti. E' sera, e alzano i loro telefonini nel tentativo di cercare un po' di rete per chiamare i loro cari lontani. E' con questa foto che John Stanmeyer, uno dei membri fondatori dell'agenzia VII, si è aggiudicato l'ultima edizione del World Press Photo.

Lo so, è passato quasi un mese dalla proclamazione dei vincitori del WPP, ma desideravo lasciare decantare l'attenzione mediatica per tornare su questa fotografia con un po' più di calma e per avere modo di raccogliere i racconti del vincitore e le voci dei giurati.

Photo di John Stanmeyer / VII per il National Geographic (courtesy VII)

"Questa fotografia - dice Stanmeyer - rappresenta me, voi, tutti noi, mentre cerchiamo di ristabilire un legame con la nostra casa, con i nostri parenti lontani, sospinti dal continuo movimento migratori che ci troviamo a fronteggiare. In questo caso parla di povertà e della ricerca di opportunità e speranza".

La giuria ne ha, unanimamente, apprezzato la complessità narrativa:
"E' una foto che racchiude molte altre storie - commenta Jillian Edelstein, membro della giuria per il Regno Unito e il Sud Africa - Si presta a discussioni sulla tecnologia, sulla globalizzazione, sulla migrazione, la povertà, la disperazione, l'alienazione, l'umanità".
"Cercavamo una fotografia con le stesse qualità che si possono trovare in un bel film o in letteratura: l'impressione di trovarsi di fronte a più livelli di lettura, che ti faccia pensare a cose alle quali non avresti pensato" spiega Susan Linfield, membro per gli Stati Uniti.

E, aggiungo io, Stanmeyer riesce a raccontare questa storia di migranti senza scadere nel truculento linguaggio espressivo che ha (purtroppo) caratterizzato molte passate edizioni del WPP.


Ciao
Giovanni B.

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